Nell’amplissimo panorama artigianale che l’Italia può vantare, forse unica al mondo per qualità e quantità, posto di rilievo ricopre l’ars sutoria o sutrina, l’arte calzolaia. Una specializzazione sempre più rara giacché, in questo campo, l’industria domina incontrastata.
E per rafforzarsi ama ricorrere anche, e paradossalmente, a denominazioni che non le appartengono, come l’abusato ‘fatto a mano’. Cosa e quanto di una scarpa è stato fatto a mano? Anche in questo settore, quindi, bisognerebbe porre dei paletti che aiutino da una parte il consumatore a spendere bene e in modo commisurato alla nobiltà dell’oggetto acquistato e dall’altro gli artigiani che vedono sparire la propria antichissima professione.
Già nell’Antica Roma c’era un ‘collegio dei sutores’, che riuniva gli artigiani migliori e aveva come scopo quello di tramandarne l’arte.
Tra le cause che hanno decretato la progressiva scomparsa di questo tipo di artigianato c’è la disinformazione e la scarsa conoscenza del settore. Se una scarpa etichettata con ‘lavorazione manuale’, seppur industriale, costa 4/5 volte di meno di una artigianale al 100%, il mercato privilegerà sempre quella più economica. Perché le due opzioni sembrano sullo stesso livello. Ci sono invece tre territori contigui ma distinti.
L’industriale, quello fatto a macchina ma che prevede alcuni passaggi manuali e quello frequentato da chi utilizza esclusivamente gli strumenti di una volta.
Tutti e tre hanno, naturalmente, legittimità d’esistere. È importante, però, che non si creino contrapposizioni indebite, di prezzo e soprattutto di denominazioni.
Uno degli equivoci più diffusi riguarda la lavorazione Goodyear. Negli ultimi anni questo termine ha invaso il mondo come sinonimo di calzatura eseguita a regola d’arte, fino al punto di essere affiancato alla scritta ‘fatto a mano’. Ma è bene sapere Goodyear è il nome della macchina che esegue la cucitura a vista della suola.
Quindi, purtroppo, dubitate di poter trovare una calzatura completamente artigianale quando trovate la dicitura ‘Goodyear fatto a mano’ oppure ‘Goodyear made by hand’.
Una scarpa fatta a mano la si distingua immediatamente dalle cuciture. Queste sono la cartina al tornasole per saggiarne il grado di artigianalità. Ne esistono fondamentalmente 4. La prima, quella basilare, è la Blake, interna, che si applica unendo tomaia e suola in un unico corpo. Questa operazione, l’unica che si effettua con l’ausilio di una macchina, connota i modelli base, più semplici. Passiamo poi alla cucitura a guardolo, una striscia sottile di cuoio applicata esternamente tra la tomaia (la parte superiore della scarpa) e la suola, precedentemente uniti con la Blake.
Il guardolo cucito alla scarpa dall’artigiano Serafini
Da questa lavorazione in poi aumenta il grado di impermeabilizzazione della scarpa. La norvegese, infatti, si applica così: la tomaia non viene chiusa all’interno (come nella Blake) ma all’esterno, formando una L. La base viene fissata attraverso decine di cuciture a mano alla suola.
L’ultima, ancora più elaborata è la tirolese, una norvegese con l’applicazione del guardolo esterno, che garantisce maggiore robustezza e impermeabilità ma è adatta ad una scarpa dall’aspetto molto robusto e imponente.
Naturalmente la pratica è molto più complicata e laboriosa di questa semplice spiegazione. Tali e tante le variazioni (cuciture doppie, ondulate, intrecciate, miste, etc) che possono far variare il tempo di realizzazione di una scarpa dalle 8 alle 27 ore, con centinaia di punti passati a mano!
Il prodotto artigianale, però, è fatto per durare, per essere riparato più volte, al riparo dalla l’obsolescenza delle mode.
Una francesina bicolore di Riccardo Freccia Bestetti
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