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26 Luglio 2017
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26 Luglio 2017

Alle radici della cravatta

Pubbblicato da Alfredo de Giglio in 26 Luglio 2017

Con la scelta della cravatta l’uomo si posiziona nel mondo (Alberto Moravia)

Per ragioni igieniche, climatiche, estetiche, l’uomo ha sempre ornato il proprio collo con pezzi di stoffa.
I legionari romani hanno il focale (una semplice fascia avvolta), come persino i cinesi del secondo secolo avanti Cristo…

Nel 1600 la guerra dei Trenta anni: la Francia ingaggia dei mercenari croati che portano un fazzoletto alla gola. Da qui, da croato, si fa risalire l’etimo di cravatta.

Focale, gorgiera, steinkerque, stock, ascot, bandana, bola sono solo alcuni dei nomi che questo pezzo di stoffa (lino, pizzo, seta), rigido o morbido, ha assunto nei secoli e a varie latitudini.

Nel 1827 il primo libro dedicato a questo accessorio, così inutile ma così imprescindibile per l’uomo elegante.
Nel 1919 il Duca di Windsor lancia la moda delle cravatte regimental che escono così dall’ambito militare.

La cravatta moderna, come quella che noi utilizziamo quotidianamente, nasce nel 1925, grazie al commerciante newyorkese Jesse Langsdorf che brevetta un modello diverso da quello usato  sino ad allora: più lungo e meno sgualcibile, tagliato a 45 gradi, e composto principalmente da 3 segmenti di tessuto.

 La base è uno square di seta, le cui misure variano a seconda del produttore e della lavorazione. Ad esempio, è di 1 metro x 1 metro nelle stampe a corrosione (di cui magari parleremo in altra occasione), può misurare invece 1 metro x 70 cm per jacquard o regimental.
Di massima, con uno square si producono dalle 2 alle 4 cravatte.

Sullo square vengono posti i cartamodelli facendo molta attenzione a centrare il disegno nel caso di micro fantasie.

Una volta tagliate, le 3 parti principali vengono unite tra di loro a macchina e stirate. Questo è il solo passaggio che non deve essere fatto del tutto a mano per rendere la cravatta più resistente alle torsioni che subisce quando annodata.
Poi viene inserita l’anima, detta triplure, spesso in lana-cotone, il cui peso cambia da produttore a produttore, da cliente a cliente.

Dopo aver applicato la foderina (o cappuccio), che copre il retro della pala anteriore della cravatta e la coda, viene chiusa, imbastita e cucita con un solo filo, detto filo di riserva (o di frizione), importantissimo perché costituisce la spina dorsale della cravatta, permettendole di non deformarsi con l’uso.

Le foto di questo articolo sono state scattate presso il laboratorio di Marinella, a Napoli, che ringraziamo per la collaborazione.

 

4 PASSI NEL LABORATORIO DI E.MARINELLA, A NAPOLI

https://www.stilemaschile.it/wp-content/uploads/2017/07/Filmato.mp4

 

 

Galleria foto: sete, cravatte e lavorazioni…









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Alfredo de Giglio
Alfredo de Giglio
25 anni di esperienza nella comunicazione, nel giornalismo e nel marketing. È stato capo Ufficio Stampa di multinazionali come Hilton International e Avis Autonoleggio; ha creato e sviluppato progetti di comunicazione per BAT, Manifatture Sigaro Toscano, Corpo Forestale dello Stato e molte altre aziende. In campo giornalistico, è stato Direttore Responsabile di alcuni magazine. Autore di numerosi articoli per testate nazionali su argomenti quali lifestyle, travel, motori, cinema, alta orologeria. Nel 2010 fonda il laboratorio editoriale Stilemaschile per dare a tutti gli uomini eleganti qualcosa da leggere, finalmente...

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